L’episodio avvenne il 3 novembre 1917 a Noventa Padovana, dove vi sono due targhe a ricordo dell’artigliere Alessandro Ruffini da Castelfidardo e i fori fatti dai cinque proiettili che lo colpirono a morte.

 Cent’anni fa, a Noventa Padovana, dove oggi c’è piazza Europa, accadde un’episodio grave: la fucilazione seduta stante di un giovane soldato, un artigliere di Castelfidardo, Alessandro Ruffini, reo di avere tenuto un atteggiamento che un generale, Andrea Graziani, giudicò intollerabile. Un gesto – una smorfia, un sigaro in bocca – che in un’altra situazione sarebbe passato forse inosservato: ma si era in piena ritirata di Caporetto, i nervi erano tesi, gli animi preoccupati, gli ufficiali occupati a mantenere l’ordine. A volte in modi esagerati, forse non necessari, come in questo caso: Alessandro Ruffini era un buon soldato, non meritava di morire così.

Ne è sempre stata convinta la popolazione di Noventa, che ne ha tramandato il ricordo e i fori dei proiettili che ancora fanno mostra di sé sul muro dell’ex palazzo dei Suppiei, dove c’è una vecchia targa alla quale l’Amministrazione comunale ne ha aggiunta una nuova in occasione del centenario dell’episodio, il 3 novembre 2017, alla presenza di alcuni parenti del Ruffini venuti apposta da Castelfidardo.

Nell’occasione è stato presentato uno spettacolo, curato da Teatronove e diretto da Serena Fiorio, e per alcuni giorni è stata visibile un’installazione dell’artista Luca Volpato, che mostrava le sagome di soldati di un plotone di esecuzione i cui fucili miravano alla lapide con i fori. È stato pubblicato anche un libro, “Morte di un artigliere”, curato dallo studioso Lorenzo Carlesso, che ha già realizzato altri studi in tema di Prima guerra mondiale. A lui diamo la parola.

Perché ha scelto di occuparsi della vicenda di Ruffini e che cosa la incuriosiva di questa vicenda?
«Le ragioni di questa ricerca sono legate alla mia appartenenza alla comunità di Noventa Padovana. Per oltre trent’anni ho abitato in questo territorio e fin da bambino ho visto la targa che ricorda questo tragico episodio. In occasione del centenario, in qualità di storico, ho ritenuto opportuno raccontare quello che è successo cercando di andare in profondità. L’episodio, infatti, pur essendo noto a livello di storiografia non aveva ancora avuto, secondo me, la giusta considerazione».

Come mai questo fatto è accaduto a Noventa? Qual era la situazione di guerra in quel momento?
«Coinvolto nella rotta di Caporetto, a fine ottobre 1917, il reparto di Alessandro Ruffini fu costretto a ripiegare oltre la linea del Piave. In quel momento la situazione dell’Esercito italiano appariva piuttosto delicata, in molti temevano un possibile tracollo dello Stato nazionale: un tracollo infine scongiurato grazie alla fermezza dimostrata dal sovrano, re Vittorio Emanuele III di Savoia, dal governo di Vittorio Emanuele Orlando e dal nuovo capo di stato maggiore, il generale Armando Diaz, che sostituì Luigi Cadorna. Un altro contributo fondamentale fu dato dalle Forze Armate, e in particolare dai ragazzi del 1899, i quali bloccarono l’avanzata nemica. A distanza di un anno, nell’ottobre 1918, l’Esercito italiano darà inizio alla battaglia di Vittorio Veneto che condurrà il nemico alla sconfitta».

Cosa accadde veramente quel giorno?
«Questa storia ha due protagonisti, l’artigliere Alessandro Ruffini, nato a Castelfidardo nel gennaio del 1893, e il generale Andrea Graziani, originario del veronese. Il reparto di Ruffini raggiunse il centro di Noventa intorno alle 16 e 30 del 3 novembre 1917. Sfilava ordinatamente per le vie del paese, per raggiungere il centro di Padova. A Noventa era presente quel giorno il generale Graziani, da poco nominato Ispettore generale del movimento di sgombero. Il suo compito era quello di riorganizzare le truppe per poi rispedirle al fronte. Graziani vide il soldato Ruffini con un sigaro tra le labbra e decise di intervenire. Sceso subito dall’auto, aggredì l’artigliere bastonandolo ripetutamente e insultandolo. Infine, lo fece fucilare seduta state “per dare l’esempio”. Alcuni civili tentarono invano di salvare il giovane soldato appellandosi alla clemenza dell’ufficiale. L’episodio fu raccontato anche da don Giovanni Battista Celotto, allora parroco di Noventa».

Perché dopo la guerra il caso fu ripreso nei giornali?
«Il primo giornale a sollevare il caso fu «Avanti!», il quotidiano del Partito Socialista Italiano (Psi), fondato a Milano nel dicembre del 1896. Concluso il conflitto, i socialisti decisero di denunciare di fronte all’opinione pubblica italiana i responsabili della guerra, evidenziando in particolare il trattamento riservato ai soldati. La loro strategia, rivelatasi alla lunga fallimentare, era quella di arrivare a un mutamento istituzionale. Il Psi decise di sostenere la famiglia Ruffini nel procedimento giudiziario intentato contro Graziani. Il clamore del fatto coinvolse il Parlamento e i principali organi di stampa del paese. Ciononostante, il tentativo si rivelò vano in quanto la denuncia presentata contro il generale fu archiviata per ragioni politiche».

Dopo 100 anni, cosa ci può dire questa vicenda, che sta suscitando tanto interesse?
«Quella che ho raccontato nel libro è una triste storia. Ruffini fu passato per le armi unicamente per un gesto di debolezza: non sfidò nessuno quel giorno, era anzi un combattente che svolgeva il proprio dovere. Il suo foglio matricolare parla chiaro a questo proposito. La decisione di Graziani, noto alla storiografia come il “fucilatore di soldati”, fu arbitraria e disumana. A distanza di cento anni la sua vicenda ci consente di apprezzare il valore della pace e di riflettere sul nostro passato. Ruffini non fu mai dimenticato negli anni del dopoguerra; la comunità di Noventa Padovana ne ha conservato la memoria, vedendo in questo ragazzo non un eroe bensì un protagonista di quella che gli storici hanno definito come la Grande guerra. In questi mesi diversi cittadini si stanno adoperando per riabilitare la figura di Ruffini, il cui sacrificio merita di essere ricordato al pari di quello di tanti altri».

Emanuele Cenghiaro

(Il seguente articolo è stato pubblicato sulla rivista Proiezione Noventa, n. 72 – Dicembre 2017)