di Emanuele Cenghiaro
Se ci fosse un concorso tra le chiese più sconosciute di Padova, l’oratorio della beata elena avrebbe titolo a posizionarsi ai primi posti! Anche perché l’edificio, dapprima realmente dimezzato cme dimensioni, è stato chiuso per parecchio tempo tempo. Restaurato, è stato riaperto al pubblico, per ora solo in casi particolari, in questa primavera 2016.
Ma chi è la beata Elena? Si tratta della beata Elena Enselmini, seguace di sant’Antonio (il Santo di Padova), il cui corpo è custodito nel santuario antoniano dell’Arcella, sobborgo della città in cui morì lo stesso Antonio. La chiesetta a lei dedicata si trova in via Belzoni e oggi appartiene alla parrocchia di Maria Immacolata: un tempo era annessa al convento delle clarisse, oggi occupato da una sede del liceo artistico Pietro Selvatico. Il convento sorse nell’area dove, già nel 1226, esisteva una chiesa dedicata a San Basilio con annesso il monastero di S. Maria degli Armeni, sul percorso della romana via Annia. Sembra che nel 1348, per disposizione del vescovo Idebrandino Conti, il monastero venisse affidato ai monaci olivetana. Le suore clarisse giunsero dopo che i veneziani, a seguito dell’assedio di Padova a opera dell’imperatore Massimiliano, fecero spianare ogni edificio all’esterno delle mura della città, tra cui il loro convento di S. Maria de Cella. Verso il 1520 le religiose avrebbero trasferito nella chiesa le spoglie della Beata Elena. Nel 1806, a seguito della legge napoleonica sul concentramento dei monasteri, le religiose furono costrette a trasferirsi e nel 1810, con la soppressione generale degli ordini religiosi, furono sciolte.
In seguito la chiesa fu usata come bottega da un bottaio e alcuni locali del monastero divennero osteria. Una ex monaca ricomperò quanto rimasto fondando il collegio per educande intitolato alla beata Elena, che nel 1841 si trasformò nuovamente in monastero delle suore salesiane; la chiesa, riconsacrata nel 1852, fu intitolata a S. Francesco di Sales. Il monastero fu chiuso definitivamente nel 1884 quando le suore si trasferirono a S. Benedetto.
Si può riconoscere la chiesa della Beata Elena, lungo la via, per il bel portale sovrastato da uno stemma e per la lapide che ricorda Bernardo Ramanzino, che ancora vi è sepolto, e un campaniletto a vela ben visibile dal lato opposto della strada.
Dal 2010 la chiesa è stata oggetto di restauri che ne hanno permesso prima la messa in sicurezza e poi il completo recupero. Purtroppo l’edificio ha subito, nel frattempo, i danni delle intemperie e dell’uomo: la pianta della chiesa, che oggi appare sproporzionata con un’area presbiteriale troppo ampia, come detto fu infatti dimezzata nel Novecento e alienata a uso residenziale. Le dimensioni originali sono invece ancora leggibili all’esterno.
Gli interventi di recupero conservativo, eseguiti a spese della parrocchia e con un contributo del Comune di Padova, hanno riguardato il tetto, a due falde e con struttura portante in capriate lignee, portanti e zoppe, e il manto di copertura in coppi. Forse proprio il campaniletto, aggiunta settecentesca, con i fori per le corde delle campane in corrispondenza delle capriate portanti, fu all’origine di infiltrazioni d’acqua piovana che furono causa del degrado.
Un secondo stralcio di restauri, nel 2012, ha riguardato le lesioni strutturali della facciata, il restauro degli intonaci e del portale in pietra tenera dei colli Berici, compreso lo stemma con il simbolo dell’ordine francescano, le due grandi finestre termali tripartite, il piccolo campanile a vela in pietra tenera di Nanto. Per ultimo si è proceduto al restauro del controsoffitto interno, due crociere a quattro vele, delle pareti interne, scandite da paraste e dotate di basamenti e capitelli in pietra, e del pavimento in cotto.
Tra le opere d’arte rimaste in questo ritrovato gioiello di Padova rimangono l’altare maggiore (foto sopa, senza la pala, in restauro), con uno splendido paliotto in stucco policromo che richiama il primo altare a sinistra della vicina chiesa di Ognissanti. Sopra l’altare si trova la tela a olio di Angelo Trevisani “Vergine del rosario, col Bambino e i santi Domenico, Carlo Borromeo e (forse ) Bartolomeo”: un pittore, allievo dello Zanchi, nato forse a Venezia nel 1667 e morto dopo il 1753, oggetto di studio e rivalutazione recente. Il dipinto è attualmente affidato alle cure della restauratrice Valentina Piovan. La chiesa conserva anche il baldacchino posizionato in alto sopra l’altare, con una tela attribuita al veneziano Niccolò Bambini (1651-1736), già restaurato.
Rimangono poi un un pulpito ottagonale in noce, un lavatoio in marmi compatti policromi nella sacrestia e due tele monocrome attribuite al Bonatti (1873). Nel controsoffitto del vecchio tetto sono state rinvenute tracce di decorazioni floreali.
Si ringrazia per le informazioni l’architetto Alberto Ruffatto che ha seguito i lavori.
Foto: copertina, Emanuele Salvagno Fostenilab; in pagina Emanuele Cenghiaro
ITINERARIO: Il Portello di Padova
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