di Emanuele Cenghiaro
C’è un cruccio che serpeggia tra gli estimatori dei vini della Valpolicella. Un cruccio che riguarda il recioto. Continua a essere questo vino, infatti, la vera anima della vallata a dispetto dei successi dell’amarone. I veronesi ne fanno quasi un culto, però si tratta di un prodotto dolce che al di fuori delle dolci colline scaligere oggi incontra meno il gusto dei consumatori, orientati più verso i vini secchi. Così l’amarone non solo ha subissato il fratello maggiore nella fama e nel ruolo di traino economico della Valpolicella, ma più di un produttore sembra avere smesso di produrre bottiglie del pur amato capostipite per il commercio riservandole per se, gli amici e pochi estimatori. E, se anche lo produce, non lo promuove più di tanto: prima viene sempre l’amarone…
Tutto questo non sorprende: amarone e recioto nascono dalle stesse uve messe ad appassire e, una volta che gli acini sono pronti per essere vinificati, dopo un paio di mesi, si deve deciderne la sorte. Bloccare la fermentazione quando ci sono ancora tanti zuccheri e produrre così il recioto o lasciarla proseguire fino al termine e ottenere quindi una maggiore quantità di un prodotto, l’amarone, ben più richiesto dal mercato? Questo è il dilemma. Difficile dare torto a chi guarda in primis l’aspetto economico e sceglie questa seconda strada. Però in questo modo si rischia di perdere non solo un prodotto eccezionale e forse unico al mondo, ma anche un pezzo di storia. Raccontava Daniele Accordini, direttore della Cantina della Valpolicella Negrar, che già qualche brandello si è andato perdendo. Non solo le tipologie di recioto erano tante e quei pochi che riservano le uve a questo vino, sottraendole all’amarone, non ne hanno abbastanza per produrle tutte, ma ormai alcuni non saprebbero nemmeno più come farle. «Non sono riuscito ad esempio a trovare nessuno che faccia ancora il recioto liquoroso», racconta Accordini, che sciorina le sette tipologie di cui la cantina riesce a produrne più della metà. C’è il giovane detto anche “da palio” perché viene fatto debuttare nell’ambita gara enologica in seno alla festa pasquale del Palio del Recioto, quello classico che matura in bottiglia, quello “non classico” affinato in legno, quello spumante che a Verona è il vino “da pandoro” per antonomasia, e c’è l’amandorlato che è una via di mezzo tra recioto e amarone e che non fa quasi più nessuno. Non è facile da trovare neanche quello detto “mosso” che si imbottiglia il giovedì santo con i suoi lieviti che rifermentano e che ogni volta che si apre è una sorpresa, e che ormai si fa per consumo familiare, rarissimo è come detto il quasi scomparso liquoroso.
Insomma, il recioto non è un vino, ma un mondo, una storia, una tradizione. E in qualche modo, senza che nessuno si offenda, è anche un reperto storico, quasi un “dinosauro”, ovvero un esemplare vivo ancora oggi di quella tipologia di vini che amavano bere i nostri antenati fin dal tempo dei romani: dolci e “spessi”, quasi carnosi. Vino retico e acinatico, tanto decantati dagli antichi e che forse corrispondevano proprio al recioto, erano molto più vicini a questo vino di tutti gli altri che troviamo oggi in commercio. Bevendo un calice di recioto, bevanda ormai unica nel panorama internazionale, si fa un salto nel tempo. Ecco perché a volerlo salvare non deve essere solo una sparuta pattuglia di estimatori o di nostalgici della Valpolicella.
Come salvarlo? Beh… bevendolo, così i vignerons veronesi si convinceranno a produrlo e a promuoverlo! E magari, come ha fatto la Cantina della Valpolicella Negrar di recente con un piccolo gruppo di giornalisti, azzardando anche un ritorno al passato “totale”: provando cioè abbinamenti che superino i classici accostamenti con dolci secchi e biscotteria. C’è da rischiare il vero ritorno all’origine, quando le brocche di recioto innaffiavano pietanze di ogni tipo, dagli antipasti ai primi piatti fino ai secondi. Perché no? Chi ci dice che il dolce non possa tornare sulla tavola e ben figurare, magari con piatti pensati appositamente? Chiediamo scusa al recioto per gli accostamenti magari irriguardosi, ma pensiamo agli aperitivi: gli spritz non sono forse dolci, i prosecchi che vengono serviti non sono forse in versione extra dry? Gli analcolici a base di succhi di frutta che accompagnano fritturine di verdure e vol-au-vent quanti zuccheri hanno? E allora anche un recioto potrebbe fare la sua parte… In fondo, è solo questione di gusto. In fondo, il grande successo dell’amarone – qui lo dico e qui lo nego – forse si deve anche a quel filo di dolce che lo rende amabile a un più ampio spettro di palati. Moderno insomma. Allora, ecco un dubbio: è più moderno il gusto dolce o quello secco? (se propendete per la seconda ipotesi, non ditelo a quelli della Coca-Cola…)
FOTO: sono state fornite dall’Ufficio Stampa della Cantina della Valpolicella Negrar